
Discobolo Lancellotti: testimone di Potere e Libertà
Il Discobolo Lancellotti è una delle più celebri copie romane in marmo del bronzo realizzato da Mirone nel V secolo a.C., nell’Atene di Pericle. La statua raffigura un giovane atleta nel momento culminante del lancio del disco ed è stata storicamente considerata un capolavoro dell’arte classica per l’armonia delle proporzioni e il dinamismo della posa.

Ad oggi, tra le principali copie romane del bronzo di Mirone troviamo:
- Il British Museum possiede una versione quasi perfetta, ma che è stata restaurata con la testa voltata nella direzione sbagliata.
- I Musei Capitolini espongono una versione in cui, a causa di un errato restauro, ora immortala un soldato in procinto di cadere in battaglia.
- Il Kunsthistorisches Museum di Vienna conserva una copia frammentata.
- Infine, Palazzo Massimo alle Terme, a Roma, custodisce due versioni ritrovate insieme a Villa Palombara. Una delle due è solo il busto, l’altra, invece, è perfetta.
Quest’ultima è il cosiddetto Discobolo Lancellotti, rinvenuto nel 1781 durante gli scavi di Villa Palombara sul colle Esquilino, all’epoca proprietà della famiglia Lancellotti. In quanto ritrovata su terreni di proprietà privata, la statua divenne legittimamente proprietà della famiglia secondo la prassi giuridica vigente, basata su una combinazione di diritto romano e diritto pontificio. Dopo essere stata riconosciuta come copia romana dell’originale di Mirone, la statua fu sottoposta a vincolo di tutela ai sensi della legge n.364 del 1909. Tale legge prevedeva che i beni di interesse storico o artistico fossero presuntivamente di proprietà dello Stato, salvo che i privati dimostrassero un titolo legittimo di possesso. Anche quando rimanevano in mani private, tali beni erano comunque sottoposti a vincolo: non potevano essere venduti, spostati o esportati senza autorizzazione pubblica. Nonostante la tutela prevista dalla legge, il Discobolo Lancellotti fu però testimone diretto delle atrocità che caratterizzarono il ventesimo secolo.

Nella primavera del 1937, il principe d’Assia arrivò in Italia a capo di una commissione speciale creata da Hitler per l’acquisto di opere d’arte italiane. Il Discobolo fu una delle primissime richieste, ma il governo si oppose, poiché la vendita della statua, per il suo valore culturale e pregio artistico, sarebbe stata una perdita troppo grande per l’Italia. Tuttavia, nel 1938, il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano ricevette una lettera in cui non solo veniva specificato che Hitler in persona voleva il Discobolo, ma che era anche disposto a pagare in contanti 5.000.000 di lire. Grazie all’intervento di Mussolini e all’influenza di Ciano, il Discobolo Lancellotti fu venduto e subito esportato in Germania, diventando così uno dei primi simboli delle azioni illegali che il patrimonio culturale italiano dovette subire a causa delle dittature naziste e fasciste. La statua giunse a Monaco il 9 luglio 1938, dove venne presentato da Hitler come un dono al popolo tedesco, in quanto l’atleta rappresentava i valori di perfezione formale e fisica tipici dell’ideologia ariana. Ormai agli albori della Seconda Guerra Mondiale, il Discobolo Lancellotti divenne rappresentativo dell’alleanza politica tra Italia e Germania e immagine dell’inutilità delle leggi in un regime dittatoriale.

Il Discobolo Lancellotti restò in Germania per tutto il periodo della guerra, rafforzandone la propaganda nazista attraverso l’eleganza e purezza delle sue forme e forza fisica. La sua immagine fu anche utilizzata nel documentario Olympia, di Leni Riefenstahl, in occasione dei Giochi olimpici del 1936, per costruire una narrazione mitologica della continuità tra Grecia antica e Terzo Reich. Il Discobolo Lancellotti venne strumentalizzato e trasformato in un mezzo politico, lontano dalla volontà originaria di Mirone.
La storia del Discobolo però non si ferma qui. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la sconfitta del nazifascismo, l’Italia liberata e gli Alleati, misero in atto una delle più vaste operazioni di recupero del patrimonio culturale trafugato dai nazisti. In questo contesto, la figura di Rodolfo Siviero fu determinante per il successo dell’impresa. Siviero, personaggio ancora oggi fatto di luci e ombre, dopo una giovinezza caratterizzata da una simpatia fascista, in età adulta si oppose al regime diventando spia per gli Alleati e collaborando con i partigiani. E oggi descritto come uno 007 italiano e a lui si deve la salvezza del nostro patrimonio. La sua attività di agente segreto iniziò nel 1934, quando lavorò con il Servizio Informazioni Militari (SIM)- il servizio di intelligence militare italiano. Nel 1937 andò in missione sottocopertura in Germania, per monitorare le intenzioni di Hitler e infine, dopo l’armistizio del 1943, Siviero offrì i suoi servizi agli Alleati. Grazie ai suoi contatti con il SIM, riuscì a rintracciare i veicoli che trasportavano le opere d’arte trafugate e riuscì inoltre a prevenire il furto di specifici capolavori, come nel caso dell’Annunciazione di Fra’ Angelico.

Dopo la guerra, nel 1945, l’Italia prese una chiara posizione riguardante le acquisizioni ed esportazioni a opera dei Nazisti. Secondo una dichiarazione ufficiale del Consiglio dei Ministri, ogni transazione, accordo e scambio di beni culturali avvenuto tra Italia e Germania prima e durante la guerra, è da considerarsi illegittimo. Il nuovo governo quindi pose Siviero a capo delle operazioni di recupero e lo nominò delegato ufficiale italiano presso il governo alleato in Germania che nel frattempo aveva raggruppato i capolavori in Collecting Points. Il principale tra questi era il Collecting Point di Monaco, dove si trovavano tra le 50.000 e 1.000.000 di opere, incluso il Discobolo Lancellotti. Lo scopo finale della missione di Siviero era semplice: rimpatriare tutte le opere appartenenti all’Italia.
Il processo di restituzione fu lungo ed elaborato: ogni opera doveva essere catalogata e analizzata singolarmente per decidere a quale ente, pubblico o privato, dovesse essere restituita. Inoltre, l’organizzazione logistica dello spostamento dei capolavori ritardò ulteriormente la missione. Nel novembre del 1945, il governo militare alleato autorizzò infatti il rimpatrio di 39 opere, tra cui il Discobolo. Tuttavia, solo nel novembre del 1948, tre anni dopo, il Discobolo Lancellotti fu finalmente libero di lasciare Monaco per tornare a Roma. Una volta in Italia, la statua non fu restituita ai Lancellotti a causa dell’illegalità della vendita e dell’esportazione, avvenute in violazione delle norme già vigenti. La sua acquisizione da parte dello Stato fu formalizzata in virtù della legge n. 1089 del 1° giugno 1939, che consolidava il regime di tutela del patrimonio culturale italiano e, in casi specifici, prevedeva la possibilità di esproprio a favore dello Stato.
Il ritorno del Discobolo fu glorioso e documentato dai giornali e dagli allora cinegiornali, cortometraggi di attualità e informazioni. Il video intitolato Tornano in Italia: il Discobolo di Mirone e Altre Opere, mostra le opere, chiuse in scatole sigillate, che lasciano finalmente la Germania e arrivano a Roma presso la Galleria Borghese. A questo punto l’attenzione è quasi esclusivamente rivolta al Discobolo, che viene finalmente liberato dalle corde e dall’oscurità della scatola per tornare a vedere la luce. Di nuovo, l’immagine della statua viene utilizzata per mandare un messaggio chiaro. Il Discobolo Lancellotti non è più solo un’opera, e di certo non è un simbolo nazista. Il Discobolo rimpatriato diventa simbolo dell’Italia stessa che dopo il ventennio fascista e gli orrori della guerra è finalmente libera e pronta per una nuova rinascita.
Nel 1953 il Discobolo Lancellotti fu collocato a Palazzo Massimo a Roma, dove si trova ancora oggi. Come molte opere esposte nei musei, racchiude una storia ben più profonda e complessa di quanto lasci intuire la sua perfezione formale: una storia che parla di Italia, di violenza e di libertà ritrovata.
Ilaria Bortot è una storica dell’arte specializzata in studi di provenienza e crimini contro il patrimonio culturale. Ha conseguito una doppia laurea in Storia dell’Arte e Affari Internazionali presso la John Cabot University di Roma e un Master in Art Law presso l’Università di York. Collabora come contributing editor per il Museum of Looted Antiquities (MOLA) e ha scritto per diverse testate specialistiche, tra cui il Journal of Art Crime.